mercoledì 2 aprile 2014

Sui genitori che rovinano la vita dei figli

Non ho nessuna pretesa pedagogica in quel che scrivo, prendetelo come sfogo personale e stop.
Niente da dire sulla mia famiglia, in cui sono sempre stata trattata come Persona e come Figlia, tanto da permettermi di arredare casa dei miei e (tentare di) andarci a vivere con la mia fidanzata, con qualche malumore ma mi hanno messo sempre in condizione di decidere da me cosa va bene e cosa no per la mia vita.
Altra cosa è la famiglia composta da quelli che possiamo definire "i miei suoceri".
Da quando la mia fidanzata è al mondo il loro compito pare essere quello di renderla insicura, schernirla nei modi peggiori e sottometterla psicologicamente.
Tutto ciò, ovviamente, perché fin dalla tenera infanzia è apparso subito ovvio che lei potesse essere lesbica.
Certo, poteva capitarle ben di peggio. I suoi avrebbero potuto picchiarla, costringerla a "terapie riparative", buttarla in mezzo ad una strada. Ma trentaquattro anni di angherie psicologiche io li vedo comunque un castigo del tutto immotivato.
Per dire, la mia fidanzata non riesce a ricordarsi una volta in cui la madre le ha detto "ti voglio bene", oppure una volta in cui suo padre abbia iniziato spontaneamente a parlarle se non per insultarla o chiederle di fare qualcosa. E nonostante questo li ama incondizionatamente come ogni figlio dovrebbe fare.
Io già così li ritengo due pessimi soggetti, totalmente incapaci di avere relazioni di vero affetto verso le persone, ma da quando la possibilità di una convivenza è diventata una certezza a portata di mano la mia stima per loro ha raggiunto se possibile livelli ancora più infimi.
Non si può neanche accennare alla cosa che la madre diventa una iena, urla, insulta, mentre il padre diventa parte dei muri dietro di lei e perde completamente quel poco spessore che ha.
E tutto questo perché, udite udite, i figli che non si sposano regolarmente con un matrimonio eterosessuale non hanno diritto ad avere una vita propria finché i genitori sono al mondo, in quanto la loro vita appartiene ai genitori. In caso di emancipazione per motivi diversi il figlio colpevole viene ripudiato dalla famiglia, perde il diritto ad avere una casa paterna e anche a frequentare i nipoti (cosa che hanno messo già in pratica con la figlia più piccola).
E quindi: convivenza rimandata a chissà quando, pianti, sceneggiate, salute che va a farsi benedire ogni tre per due.
Se state pensando che magari i miei "suoceri" siano delle persone con poca cultura, molto religiosi, che non hanno potuto studiare o che non hanno avuto possibilità di farsi una cultura personale leggendo e viaggiando, ebbene, sappiate che sono due stimati professionisti, laureati, che non hanno particolari credenze religiose, con ottime capacità economiche e che viaggiano spesso, anche all'estero. E, sì, siamo nel 2014, non nel 1534.
In tutto questo ovviamente la mia fidanzata sta malissimo, ha dovuto anche iniziare ad andare da uno psicologo per reggere la pressione che ha in casa (e anche lì, insulti e prese in giro a non finire, perché solo i malati hanno bisogno di uno psicologo), con tutto che guadagna un niente e ovviamente i suoi non le passano un euro neanche per la salute.
Io la ammiro. La amo e la ammiro anche perché si ostina comunque ad amarli e a rispettarli, mentre da loro ha ricevuto quasi solo cattiverie.
Ma che diritto hanno quei due a rovinarle la vita così, solo per il gusto di farlo? Non si rendono conto che il tempo andato non torna più, e che è solo l'amore che dà un senso alle nostre azioni?
Che diritto hanno di calpestare il fiore bellissimo e delicato che è la mia fidanzata solo perché lei non è nata esattamente come volevano loro?
Io voglio donarle una famiglia vera, basata sull'amore reciproco, in cui si sta insieme perché ognuno è libero di sceglierlo, e non di subirlo.
Amore, se leggerai mai queste righe, perdonami se a volte non ho pazienza, se non capisco tutto quello che stai passando. Perdonami se non ho rispetto per chi ti ha donata al mondo, se sembro fredda.
Io sono pronta ad accoglierti nella nostra casetta, quando ti sentirai pronta per affrontare tutto.

martedì 1 aprile 2014

L'opera prima

Come ci si deve sentire, a scrivere subito la tua opera più bella, quella che ti garantirà fama immortale (si presume), quella al cui confronto spariranno tutte le produzioni successive?
Me lo sto chiedendo mentre leggo "Revolutionary Road" di Richard Yates, e, fatto curioso, me lo sono chiesta durante la lettura di "Il caso Harry Quebert", in cui ad uno dei personaggi capitava la stessa cosa.
Deve essere devastante e tremendamente decadente sapere che si è già dato tutto, in un'unica e incandescente fiammata di genio, e che niente potrà mai più avvicinarsi.
Ovvio, a me non capiterà mai, ma mi immagino questi autori guardare il tramonto, seduti su una terrazza che guarda l'oceano, un bicchiere di whisky tra le mani. E aspettare, aspettare che il genio capriccioso torni ad abitare le loro penne, e consumarsi in quell'attesa senza pace. Mi sembra quasi di sentire, di provare, quello che sentono loro.
Forse è ora che posi per un po' i libri e che vada a prendere una bella boccata d'aria, va' :)